Saudade a Madrid


Il lamento ancestrale del fado la svegliò di malumore. Da un po’ di tempo la riempiva di nostalgia e di rabbia. La voce roca e sensuale, ruvida, della cantante le raschiava l’anima, le trasmetteva il sentimento della saudade. Che cosa poi volesse dire saudade, forse non sapeva spiegarlo nessuno. Una parola intraducibile, che lasciava la sensazione che si trattasse di qualcosa di ineludibile. Il destino? Eppure in altri giorni quella musica l’aveva fatta sognare, vagare verso terre lontane, indietro nel tempo, all’alba di quegli amori cantati.

“Inés! Spegni il giradischi!”

La ragazza che l’aiutava nelle faccende domestiche già da un’ora ciabattava fastidiosamente per casa, mentre lei dormiva di sopra. Dormiva, si faceva per dire. Anche quella notte si era addormentata molto tardi, quasi alle prime luci del mattino, e ora non riusciva a tirarsi su dal letto.

Mille volte aveva pregato Inés di non toccare i dischi, ma lei continuava a fare di testa sua. Erano la collezione di Max che li preferiva alle cassette, ai Cd, alla musica elettronica. Una passione che coltivava tra i mercatini dell’usato, in giro per il mondo, o su Internet. La sua nota démodé, attraverso la quale simpatizzava con le sofferenze dell’abbandono, il trasporto dell’amore, l’erosione della gelosia.

Erano Max e lei non voleva ricordarlo. Troppo doloroso. I dischi in vinile se ne stavano ancora lì, impilati sulla consolle del soggiorno, vicino al giradischi di seconda mano di quando, adolescente inquieto, faceva il dj alle feste degli amici.

Non aveva nemmeno il coraggio di buttarli via, però. Temeva di cancellare tutto con un banale gesto.

Dai tetti di ardesia, oltre la mansarda, giungevano echi di altri generi musicali. Arrivavano prima confusi, poi sempre più nitidi. Si turbò nuovamente alle note del pianto gitano, lento e prolungato, del flamenco evocatore di separazioni dolorose, come la sua. Quando aveva imparato ad apprezzare il flamenco non sospettava lontanamente che avrebbe sofferto in prima persona quelle pene d’amore. Le sembravano finzioni di artisti o melodrammi di altri tempi. Lei, era una donna moderna e, poi, la sua storia sarebbe durata per sempre. S’illudeva.

All’inizio aveva trovato quella danza ridicola e antiquata, una mania all’antica di Max, una delle sue tante contraddizioni o solo una contraddizione del suo paese. Ma ora cominciava a capire che bisognava avere quella cultura nel sangue per immedesimarsi nel dolore mimato dai ballerini. Bisognava avere sofferto come gli amanti che quei due fingevano di essere quando, volteggiando e battendo i piedi nel ticchettio inebriante del ballo, si cercavano con i corpi flessuosi, ammiccanti e sensuali, o si respingevano con furia, offesi dalla gelosia. Come accadeva a lei ora.

Una volta Inés le aveva chiesto in prestito i dischi, visto che nessuno li ascoltava più, ma lei aveva risposto che Max sarebbe passato a riprenderseli. Una scusa come un’altra per tenerli con sé, a testimoniare il passaggio di Max nella sua vita.

“Chissà che look avrà ora!” si chiese, tentennando il capo. Max amava cambiare, cambiava look per cambiare identità e lo faceva, quasi per scaramanzia o per trovare la grinta per ricominciare, ogni volta che chiudeva una fase della sua esistenza. Era bruno, biondo o con il pizzetto ossigenato come se ne vedevano tanti sulle passerelle e per le  strade della capitale? Indossava ancora il giubbotto di pelle nera consumata o aveva invece optato per un look da giovane manager, inquadrato in un gessato con cravatta dai toni sgargianti, unico residuo della stravaganza dell’artista?

Dentro di lei, comunque, Max rimaneva il ragazzo dallo sguardo sornione, una telecamera puntata sul mondo. E il mondo, a sua volta, era per lui la miniera inesauribile dalla quale attingeva personaggi, storie e intrecci per le sue sceneggiature. Max, lo scrittore di cortometraggi che si stava facendo strada nel cinema con la testardaggine che lo aiutava in ogni impresa, ma che aveva anche complicato la loro vita insieme.

Non che lei fosse da meno. La loro carriera. La immaginavano brillante e lo era già per entrambi, ma non bastava. Sempre più in alto, con quell’idea fissa nella mente che li corrodeva, che li asciugava nel loro egoismo e avvelenava il loro amore.

“Maledette bids!*”- sbottò Rossella. Anche lei!  Con la sua caparbietà e l’ossessione per il lavoro, se l’era andata proprio a cercare. Era la prima volta, da quando si erano lasciati, o meglio, Max l’aveva lasciata, che lo ammetteva. Il suo amico Angelo aveva visto giusto e, rimettendosi con la sua ex-ragazza, aveva mostrato di capire che le vie dell’amore e della convivenza passano, spesso, per la rinuncia. Almeno quanto bastava, senza mai capitolare del tutto di fronte all’altro.

Ciò che era paradossale era che Angelo lo avesse appreso proprio da lei!

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Testo disponibile in inglese nella pagina “Le mie traduzioni”

6 pensieri su “Saudade a Madrid

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