Incipit…


«Ben arrivati, signori. Prego, lasciate pure qui i vostri bagagli. Vi accompagno in camera. A proposito, camera numero?»

Erano anni che pronunciava le stesse frasi, arrampicandosi tra le grammatiche e i glossari delle varie lingue degli ospiti che si erano avvicendati in quell’edificio. Aveva pronunciato con sforzo quelle frasi questa volta, in un italiano gutturale e arrugginito. Ultimamente faceva più fatica a ricordare, come faceva fatica a sollevare i bagagli sul carrello, a sistemarli in camera, a precedere con passo allegro ma elegante gli ospiti, come aveva fatto per quasi sessant’anni.

«Ah, bon! Terzo piano, chiedo scusa. Dobbiamo riprendere l’ascensore, questo è il secondo, che sbadato.»

Sentì la vergogna montargli in volto, tangibile. Non gli era mai capitato di fare una gaffe del genere, appunto in tanti anni. Non riusciva a spiegarselo. Possibile fosse arrivato al punto da non riuscire più a fissare saldamente parole, numeri, frasi di circostanza nella sua memoria? Erano diventati granelli di sabbia, scivolavano rapidi e inafferrabili. La sua padronanza linguistica era nota da generazioni, il suo stile, i suoi modi da sempre premiati nella prestigiosa struttura residenziale dal sapore mitteleuropeo e imperiale.

Forse la memoria si stava rifiutando di essergli strumento del ricordo, la memoria storica era lui, il maître che aveva dedicato l’intera vita al Grand hotel.

Guardò di sottecchi la coppia in ascensore, rigida e silenziosa aveva digerito l’imbarazzo senza commenti. Non gli era simpatica, aveva sempre misurato a pelle la simpatia e antipatia della gente. La freddezza allontana e lui rispettava le intenzioni e se ne stava zitto, ancora più irrigidito di loro nella livrea di cui andava fiero.

Il campanello annunciò l’arrivo al piano, era quello giusto per fortuna. Fece strada lungo il corridoio semibuio. La moquette attutiva i passi e rendeva il silenzio felpato. Inserì la chiave digitale, accese la luce, fece cenno ai due di accomodarsi, quasi stesse lasciando una stanza della sua casa e ne esigesse rispetto e decoro.

Infine, posò le due valigie nell’anticamera e con un «Buona permanenza, signori»

accompagnato da un leggero inchino, si girò su se stesso e se ne andò. Il saluto degli ospiti, appena accennato, lo rinforzò nella prima sensazione. Erano antipatici e arroganti, nessun possibile contatto scherzoso con gente così….

Dal racconto  inedito “Grand Hotel” di Lucia Sallustio