Grande, rinnovata emozione ieri 30 maggio a Ortucchio. La premiazione della XII edizione del Premio Caro diario -( http://www.premiocarodiario.it) si é tenuta alle 16.00 nella Sala consiliare del Comune alla presenza delle autorità, di un pubblico entusiasta e di una Giuria alla quale mi sento legata dal doppio sentimento di stima e affetto. Non ero tra i primi tre premiati, eppure la mia segnalazione di merito, per il terzo anno consecutivo, mi inorgoglisce nuovamente perché so che l’apprezzamento dei giurati è frutto di un lavoro di selezione serio e dedito che negli anni passati mi ha riservato ottimi riscontri in altri concorsi letterari e presso altri lettori.
Durante il discorso di ringraziamento ieri ho fatto presente la singolarità del premio, dedicato alla forma diaristica, nel panorama italiano dei concorsi letterari. Scrivere diari oggi sembra superato e démodé, eppure non è così. Il diario sopravvive e, anzi, si rafforza nella moderna versione del blog,oppure continua ad esistere su taccuini e quadernetti come intramontabile spazio privato che non si vuole vedere violato per nessuna ragione. Molti, tra i giovani, coltivano in segreto questo genere di scrittura antica e intimista, facendone una fidatissima confidente, lo specchio interiore che deborda sulla pagina e racconta, l’esplicitazione del pensiero negato anche a se stessi, la testimonianza del ricordo che farà sorridere un giorno, magari, ma alla quale si guarderà con tenerezza e rispetto.
Un genere di scrittura facile e naturale solo all’apparenza ma , in realtà, molto faticoso. E rileggere quelle parole emoziona sempre. Sì, mi emoziona sempre riascoltare parole che sulla carta si sono reificate ed estraniate rispetto al mio Io-narrante, soprattutto quando il Presidente della Giuria, Prof. Angelo Melchiorre, ha dato voce, immagini e suoni con un video sul tuo racconto e giurati, scrittori e tutti i presenti si emozionano con te e ti tendono la mano.
Grazie ad Ercole Gigli, Presidente del Circolo culturale IL CASTELLO di Ortucchio per l’elevato valore umano e la dedizione verso la promozione di cultura nonostante le difficoltà incontrate in questi dodici anni. E in bocca al lupo per la XIII edizione che tutti attendiamo per un nuovo, caloroso incontro.
Lucia Sallustio
L’ALTRO SEGRETO
Oggi ho ricevuto di nuovo la lettera. Era nella posta da evadere. Il collega che si occupava del caso non sta bene, s’è preso un mese di malattia. Depressione. E io alle prese con un lavoro che non scorre, che aumenta con l’aggravarsi della crisi. Ci vogliono nervi ben saldi per fare questo lavoro ai servizi socilai, di questi giorni.
Ho aperto la lettera con il fermacarte dal quale non mi separo mai, dalla mia laurea. Una piccola scaramanzia, ma io sono fatta così, con le mie piccole manie. Chi non ne ha? Il fermacarte si è inceppato in un cartoncino all’interno della busta. Allora ho preferito finire di aprirla con le mani, per non rovinare nulla.
Era una foto. Questa volta il maniaco, come ormai lo chiamiamo in ufficio, ha inserito una foto. Una donna vestita di stracci, con capelli arruffati come gomitolo di lana conteso da grinfie di gatti e occhi sbarrati da paura e sorpresa diretti all’obiettivo di cui non decifra le intenzioni. Giace su una branda curva verso il centro. Una tazza water in un angolo, una tavolaccia su due cavalletti al centro di un buco di stanza percolata dall’umidità, pareti scrostate e ammuffite.
Non capivo. Mi sono affrettata a leggere. La solita richiesta di aiuto. Da qualche mese arrivano lettere anonime in ufficio, sempre più deliranti, una richiesta d’aiuto d’una mente squarciata. Il mio collega ha cestinato la prima borbottando semplicemente maniaco, non ha meglio da fare che scassare…Non è per amore della verità che riporterò sul mio diario il turpiloquio che subisco ogni giorno da parte sua. Ormai faccio finta di nulla. In fondo, poveraccio, non è nemmeno cattivo. Con tutti i problemi che ha a casa, questo lavoro ha finito per usurare anche lui.
Ne sono arrivate tante, di lettere, prima di questa. La richiesta era man mano più accorata, le parole frantumi di singhiozzi inespressi. E l’odio, tanto odio verso gli esecutori dell’ingiustizia, dell’irreversibile danno a due anime senza colpa, del crimine, del segreto del clan.
Oltre alla foto, oggi con la lettera c’era anche un disegno: una figura stilizzata di donna con un bambolotto in braccio. Anna e Massimo, c’era scritto. Non una, ma due, tre, quattro, dieci, venti, trenta volte e più, fino ad accavallare i nomi, a incidere il foglio.
Stanotte non riesco a chiudere occhio. La foto mi parla nel buio. Vedo quella donna. È lì, davanti a me, vuole dirmi qualcosa, ma non riesce a parlare. Disegna, é più calma ora. Poi s’alza di scatto e corre da un muro all’altro di quella strettoia di due metri per due e si strappa i capelli di paglia. Torna a disegnare e intreccia i due nomi. Si chiamerà Anna? Chi mi manda le lettere, Anna o qualcun altro? Non posso continuare a cestinare. Domani passerò tutto ai Carabinieri. Ho l’indirizzo, ora.
Mi hanno voluta con loro, in squadra, per la perquisizione. Non mi sono tirata indietro, non lo faccio mai quando c’è da aiutare.
“Restate voi due con lei, che siete donne” ci ha detto il maresciallo Binetti, dopo l’irruzione in casa con mandato di perquisizione, con la vecchia che gridava come una strega e l’uomo che minacciava paonazzo, visibilmente ubriaco. Dopo la perquisizione siamo riusciti a farci dire dalla figlia più giovane, Flora, che la porta era dietro la credenza. Continua a leggere