Un grazie sentito a Stefano Savella per il pregnante articolo su Inter-city pubblicato oggi, 31 ottobre 2014, nella rubrica La Puglia che scrive della rivista on-line Puglialibre.
http://www.puglialibre.it/2014/10/inter-city-di-lucia-sallustio/
Un grazie sentito a Stefano Savella per il pregnante articolo su Inter-city pubblicato oggi, 31 ottobre 2014, nella rubrica La Puglia che scrive della rivista on-line Puglialibre.
http://www.puglialibre.it/2014/10/inter-city-di-lucia-sallustio/
Il 10 novembre questo blog compirà 3 anni. Oggi, 4 novembre, il contatore di WordPress dice:
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L.S.
Non è giusto
Schiacciata tra la folla di studenti, siedo su un rigido sedile del 26, immersa in festosi gridolini, effluvi di deodoranti commerciali, risatine ora timide, ora sguaiate, interrotte dalla tosse catarrosa o dalle imprecazioni insofferenti dei vecchi.
“Non è giusto” grida uno studente alle mie spalle. Ha il viso devastato dall’eccesso di ormoni, la rabbia di mezzo secolo di lotte studentesche, per i diplomi facili, per il trionfo della giustizia che poi si è rivelata ingiusta per chi meritava. Indossa un piumino che sa ancora di bucato, che sa sorprendentemente del mio bucato. Ma di che mi meraviglio, sarà un Ava lavatrice, un Dixan, un sottoprodotto, tanto cambia solo il prezzo, per il resto sono tutti uguali.
La cartella all’altezza dei miei occhi mi graffia il viso con la cerniera a ogni sussulto della ragazzina che si muove come un’onda del mare. Non se ne accorge nemmeno, immersa nell’ascolto del suo I-pod.
“Non mettere gli auricolari per strada, potresti non accorgerti delle macchine” dico sempre a mio figlio. Sentiamo continuamente storie di pirati che ammazzano ubriachi e fuggono via. Quanti di loro sconteranno la pena? È giusto morire sul ciglio di una strada? Basterà la sola giustizia divina? Tante le domande, troppe senza risposta.
Il ragazzo alle mie spalle borbotta ancora sull’ingiustizia subita, sulla durezza del professore che non ha voluto saperne di drammi esistenziali, disagi familiari, metabolizzazioni del dolore, conflitti con il mondo intero, a scuola, a casa, in condominio, per strada, in comitiva.
Trasmettiamo ogni giorno incertezze ai giovani, con il nostro esempio, con i racconti di liti furibonde, competizione sul lavoro e ingiustizia che interrompe sogni di carriera.
Io, seduta in mezzo a loro, spartiacque generazionale, con la mia cartella di cuoio rosso, a metà inquadrata e professionale, a metà ribelle e irriverente verso i blu, i grigi, i cammello dei professionisti seriosi.
Io, genitore come i loro genitori. Io, figlia come i loro genitori e come loro stessi.
Io, una di loro, ancora alla ricerca di me stessa, mutante mio malgrado, incantata dalla bellezza, affascinata dal lusso e dal benessere, appagata dall’appagamento dell’Io.
Io, disincantata dalla vita, dall’indifferenza di molti, dal cinismo, dalla meschinità dilagante, dall’ingiustizia.
Io, ribelle anche ora, di fronte alla mancanza di comprensione, alla negazione delle ragioni psicologiche, della tolleranza. Nel dubbio, pro reo. E noi che puntiamo il dito accusatore, col gusto di farlo, senza pietà. Può definirsi uomo chi non prova pietà? E può un mortale non sbagliare mai, essere sempre nel giusto?
Non è giusto, penso, l’avvicendarsi fluido di sistemi, ideologie, governi, circolari di carta che stigmatizzano mezze verità, quelle del momento, che decretano la fine di ciò che solo fino a poco prima era giusto. Crea solo caos intorno e dentro di noi.
Intorno a me gli studenti parlano, gridano, ridono, si fanno confidenze d’amore, parlano d’amore. Per fortuna si continua a parlare d’amore, si continua a credere e sognare. Mi intenerisce guardarli, quasi mi piace il loro linguaggio, così breve e privo di orpelli. Eppure i giovani non hanno dimenticato i sentimenti. Non è giusto disincantarli perché noi adulti lo siamo. Non è giusto parlare loro continuamente di corruzione che azzera il merito personale. Li spingiamo a non provare, a non provarsi, all’inedia, alla rassegnazione, li condanniamo alla vecchiaia anzitempo. Basta a dire loro che tanto non cambia nulla, che se protestano non cambierà nulla, che l’innamoramento passa dopo solo sei mesi, che l’amore eterno non esiste, che le ragazze di oggi sono troppo prepotenti e gli uomini fragili o insensibili.
La ragazzina di fronte a me tira fuori la biro dal borsellino e scrive qualcosa sulla cartella.
“Amami per quella che sono” leggo e completo la frase mentalmente “se di me hai un’altra idea, non è giusto che continui ad amarmi”.
Lucia Sallustio
(Molfetta – BA)
Inserito nella rivista letteraria Web”Le reti di Dedalus”: http://www.retididedalus.it , la rivista on-line del Sindacato Nazionale Scrittori
L’antologia di racconti “A forza di essere vento” dedicata a Fabrizio de Andrè (collana Undiciparole- editore PerroneLAB) ha ricevuto una splendida recensione da Stefano Savella su Pluglialibre. Colgo l’occasione per ringraziarlo per l’attenzione alle tre autrici pugliesi:
Monica Mezzi
Lucia Sallustio
Dirce Scarpello
Caratteristica dell’antologia è l’illustrazione grafica a ciascun racconto da parte della bravissima illustratrice Tiziana d’Este.
Riporto di seguito l’articolo:
Fabrizio De André è con ogni probabilità il cantautore italiano alla cui opera sono stati dedicate più pubblicazioni, di natura biografica, letteraria, critica (finanche filologica). Lo testimoniano efficacemente gli scaffali del comparto “Musica” dei bookstore: ma a considerare i testi di narrativa che da De André hanno mutuato il titolo o l’ispirazione per qualche personaggio il calcolo rischia di assumere proporzioni ancor più notevoli. Non è perciò un caso che il gruppo di scrittori di “Undiciparole“, che già in passato avevano partecipato ad antologie di racconti tematiche pubblicate nella collana Lab di Giulio Perrone, abbiano scelto la produzione poetica e musicale di De André come fil rouge della loro ultima raccolta,A forza di essere vento (pp. 194, euro 15).
Tra i venti autori dei racconti, ognuno dei quali ispirato a un brano del cantautore genovese, ci sono anche tre donne pugliesi. Dirce Scarpello, in Gli occhi di un uomo che muore, si confronta – come il titolo suggerisce ai più attenti estimatori di De André – con La guerra di Piero, uno dei suoi brani più noti in assoluto. Piero è il narratore e al tempo stesso un giovane (as)soldato al centro di una guerra di mala alla periferia di Bari: è convincente la trasposizione della trincea insieme a quella dei dettagli dello sfondo (ad esempio il «campo di grano» diventa, opportunamente, un canale di scolo zeppo di rifiuti). «Morire di maggio» diventa cosa «da stronzi», proprio «quando devono fare i fuochi da San Nicola».
Lucia Sallustio, della quale abbiamo segnalato pochi giorni fa il suo racconto d’esordio, La fidanzata di Joe, riprende lo spunto offerto da un brano della Buona Novella, Tre madri, per mettere in scena il dolore di una madre affogato nel ricordo di un figlio. I versi del brano di De André riecheggiano con sempre maggiore costanza man mano che il racconto, avvicinandosi alla conclusione, disvelerà il destino di un figlio che è «figlio nel sangue, figlio nel cuore». Solo a lettura conclusa si comprenderanno davvero, nella loro forza evocativa, le parole: «Ma più di te muore tua madre».
Infine, la giovane tarantina Monica Mezzi si confronta con un pezzo dell’album Anime salve, Dolcenera, declinandolo in forma metaletteraria scegliendo come protagonista del racconto uno scrittore, alle prese al tempo stesso con l’invenzione narrativa e con un amore non corrisposto. L’esondazione di un fiume sommerge, con la città, anche le speranze per un amore «dal mancato finale, così splendido e vero da potervi ingannare».
Stefano Savella
http://www.puglialibre.it/2011/09/a-forza-di-essere-vento-perrone-lab/
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Ho letto l’articolo e mi sono ritrovata in queste parole di encomio per una prosa modellata e il fascino del non detto, della misura del dire.
Questo il link:
Ringrazio la Giuria (in foto) per avermi assegnato il 1° premio, targa RadarLevante- Fiera del Levante, alla poesia “Rimpatrio” . Presto sarà pubblicata nella rivista letteraria “RadarLevante”- direttore editoriale la prof.ssa Mariuccia Verrone, organizzatrice del premio.
Rimpatrio
Ho lasciato la terra nativa
un gelido tuffo a battesimo.
Avvolto in nero manto
Fisso sul divenire del giorno
Il tuo sguardo addolorato, madre,
dietro immagini abbozzate
campi di sole, lavoro e libertà.
Eroico nel malessere formicolante,
abbandonato al cullare del mare
impaurito come un bambino
al sollevarsi di onde cattedrali
che avvolgono agghiaccianti
vesti inzuppate d’acqua e paura.
Sogno sorrisi e gruzzolo pieno
Il ritorno dell’uomo vincente.
Lamenti si levano intorno,
pianti di fanciulli, imprecazioni,
io arroccato nel mio castello
illuminato da sogni lucenti,
echi le tue parole certezze,
il sacrificio fa l’uomo e non l’opposto.
Oltre il mare mi vengono incontro
il rifiuto ostinato, l’umiliazione
braccato come uno che ha usurpato.
Non il cibo negato o l’olezzo
Insopportabile e penetrante
mi hanno per sempre marcato,
quanto il disprezzo del rimpatrio
i miei sogni spezzati uno a uno,
chi ha finto d’ignorare che la morte
potesse reclamarmi suo cittadino.
di Lucia Sallustio
Ringrazio pubblicamente Leonardo Selvaggi per l’attenzione dedicata ai miei versi e per le parole di encomio nei miei riguardi.
Lucia Sallustio