CAFFÉ VITTORIA



Aspettava da anni quella vacanza. Per una ragione o per l’altra, per mille impedimenti e inutili contrattempi, non era mai riuscita a realizzare quel sogno. Ritornare sull’isola.

“Fosse per te, vorresti sempre startene in giro per il mondo come una senzatetto” le rimproverava acida sua madre.

Sapeva già come continuava quella storia. La televisione, con le atrocità della cronaca nera, peggiorava la sua vita fatta di divieti. Per una donna sola è ancora più pericoloso, ci sono uomini divora donne in agguato, mariuoli, drogati ed extra-comunitari pronti ad alleggerirti della borsa quando ti va bene o a farti fuori con creatività inenarrabile se opponi resistenza. Treni che deragliano e aerei con hijackers fanatici disposti a farsi saltare in un grande booooom!

Non ne poteva più di essere la vittima designata di ogni bruttura di menti traviate. Più la madre la educava al pericolo, più lei osava viaggi arrischiati. Si inventava mille scuse per soddisfare la voglia di conoscere il mondo, le ricerche per la tesi di laurea o i corsi di formazione, quando era entrata nella scuola. Una sorta di contrappasso alla prospettiva strozzata che il protezionismo materno le imponeva. Allora lei deviava e il corso di formazione era la copertura per il trekking in montagna. Ricordava ancora la palpitazione di un volo col paracadute, trainata da un motoscafo a Corfù. L’ebbrezza del volo, sospesa tra cielo e mare, con le montagne sempre più vicine e lei che pregava il Signore che restassero lì, al loro posto, e che la salvasse dall’impatto con la terra. Quando pensava alle sue reazioni condizionate dai terrori che sua madre aveva del mondo, le veniva una stizza dal fondo del cuore. Poi gli anni della ribellione aperta erano passati. Solo all’apparenza, però. Perché lei aveva trovato un nuovo modo di viaggiare oltre i limiti imposti. Scriveva. C’erano volte che il confine tra il vissuto e il sognato non era nemmeno ben marcato. Ma lei credeva in quelle fantasie e ne era appagata.

Tante volte si era chiesta, in quegli anni, se anche l’aperitivo ad Ischia, al Caffé Vittoria, fosse solo una fantasia. Non aveva mai voluto contare gli anni che erano passati. Temeva che il passar del tempo fosse una riprova che la sua vita correva in caduta libera e che giù, sulla superficie del mare, non scivolasse a tutta velocità un motoscafo che alla fine della corsa avrebbe rallentato dolcemente facendola planare nell’abbraccio prodigo di effusioni amorose di un mare amante. Si era talmente ubriacata di romanticismo da non accorgersi più della realtà meschina che sua madre le stava ritagliando addosso.

Quel giorno, al caffé Vittoria con lui. Era luglio, il mese del suo compleanno. Si era subito innamorata del suo nome, Alberto, così virile. Poi della sua voce soffiata come una carezza. Lei sedeva composta nella poltrona di vimini all’ombra di una bouganville.  Il cicaleccio dei turisti, le americane con i cappelli di paglia larghi abbelliti da fiori di seta. I vestiti da spiaggia fruscianti alla lieve brezza che veniva dal mare. Pure lei era vestita così. Se solo l’avesse vista sua madre. Beveva un analcolico, stuzzicando arachidi e salatini con un uomo che conosceva appena. Aveva incontrato Alberto in barca, in un giro dell’isola. Lui l’aveva aiutata a salire. I suoi capelli corvini, che quasi gli toccavano le ampie spalle, erano smossi dal vento. Seducente e gentile dal primo momento. Forse se n’era innamorata allora, mentre le porgeva la mano bella, dalle dita affilate.

“L’aiuto?” e le aveva afferrato il braccio con quella presa salda che l’aveva scossa dentro prima che potesse rispondergli. Forte e bello. Un uomo per lei doveva essere un pilastro cui appoggiarsi,  ma con un animo sensibile, disposto a battere all’unisono con il suo. Per tutto il tempo dell’aperitivo. E dopo per tutta la vita. Lo sognava ancora. Non era più riuscita a trovare nessuno come lui. Nessun aperitivo era mai stato così inebriante, nemmeno quando lo aveva sostituito con qualcosa di più alcolico, per sognare, per far vibrare il cuore come allora.

Dopo la vacanza si erano scambiati alcune lettere. Piccoli condensati d’amore. Le conservava ancora. Erano parte del suo romanzo. Avevano fatto piangere generazioni di innamorati, folli come loro. Poi aveva deciso. Lo avrebbe raggiunto sull’isola. Aspettava da anni una risposta che non era mai giunta. Aveva pianto, sollecitato, si era disperata sperando di morire. Aveva  pensato di partire lo stesso, ma l’aveva trattenuta l’orgoglio. Ora era lì, sull’isola sognata, che scendeva dall’aliscafo. Un marinaio le porgeva gentilmente la mano sullo scivolo traballante. Aveva rivisto il bel viso abbronzato di Alberto in lui. I profumi dell’isola la sopraffecero. A luglio si facevano particolarmente intensi sotto il sole alto e si mescolavano agli effluvi salmastri del mare. Ebbe l’impressione che mancasse da una sola settimana. Squillò il telefonino, pensò  fosse sua madre, apprensiva come sempre. E invece lei era morta due mesi prima. I suoi primi mesi di libertà. Rovistando nei cassetti per mettere ordine nella sua vita, per ricostruirla a modo suo, sfrondandola dell’inutile, del tanfo di un vecchiume rassicurante che l’aveva soffocata, aveva trovato un plico di lettere legate da un nastrino violetto. Aveva pensato fossero le lettere di suo padre al tempo del servizio militare a Parma. Aprì e lesse. Una trasfusione d’amore l’assalì, l’aggredì levandole il respiro. La commosse. La adirò. Le instillò un odio profondo per quella madre che non aveva avuto rispetto del suo amore, che l’aveva protetta dal vivere, l’aveva costretta all’effimero del sogno. Era lì la risposta di Alberto, sempre più accorata, implorante fino alle ultime lettere. Ricordava anche lui la magia dell’aperitivo, dopo l’amore, in quella stanza d’albergo piastrellata di maioliche decorate con i colori del mare, dei limoni, degli aranci, della bouganville, del verde dei fitti boschi. Si inebriò di immagini e profumi. Le sussultò il cuore.

Sedeva di nuovo nella poltrona di midollino al Caffè Vittoria per un aperitivo. Era luglio. Il sole l’abbagliava e le addolciva i tratti scolpiti dall’amarezza e dalla negazione. Aspettava e sognava. Anche il suo moleskine sul tavolino aspettava di essere riempito di nuove emozioni.

di Lucia Sallustio

Pubblicato da PerroneLab nell’antologia ARRIVANO LE VACANZE di AA.VV.

3 pensieri su “CAFFÉ VITTORIA

  1. Che dire, carissima Luciana?Ancora una narrazione palpitante, autentica, espressione di raffinata sensibilità, di una diversa capacità di percepire la vita, le emozioni , i sentimenti forse presente dentro ogni essere umano ma difficile da decodificare ed esprimere per i più .E’ un piacere leggerti.

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