Aria di festa, aria di Natale


I DOLCI DI NATALE

“Corri, Mariuccia, che la pasta mi si attacca tutta alle mani e non riesco a lavorarla! Versami un po’ di farina e poi vai a prendere ancora un pezzetto di sugna dalla dispensa per imburrare gli stagnini.”

“Vado, zia” si affrettava a rispondere educata la ragazza mentre si affannava a destra e a manca ad eseguire i rapidi comandi di Filomena. Non faceva a tempo a completarne uno che già la voce della zia risuonava argentina a chiederle qualche altro ingrediente. Sembrava spiritata, con le mani che pizzicavano nervose l’impasto giallo vivo di uova deposte di fresco mentre canticchiava allegra le note natalizie della Santa Allegrezza.

Mancavano dieci giorni a Natale e l’aria era frizzante ma piacevole quando, al mattino, le due donne si levavano di buonora alle incombenze del giorno che si facevano incalzanti, ora che si avvicinava la grande festa.

Erano già passati tre Natali da quando Mariuccia era arrivata. Tre anni di acclimatamento e di scoperta che l’avevano distratta dalla nostalgia e dalla tristezza che si era portata dietro con la valigetta di cartone. L’eco della voce della mamma, un tempo rasserenante e desiderata per compensare la rudezza della voce roca paterna, diventava sempre più flebile nelle orecchie, anche se quella stretta di dolore al petto non cessava di farla sussultare ogni volta che il pensiero correva a lei. Tante volte si era sorpresa a gettare indietro quel ricordo per timore di ripiombare nella cupa malinconia. Di certo, se lo riprometteva sempre, l’immagine della mamma sarebbe rimasta indelebile dentro il suo cuore, per sempre associata all’effigie della Madonna e delle Vergini danzanti di quel pittore che pure le avevano detto come si chiamava, ce l’aveva sulla punta della lingua, ma di cui non ricordava mai il nome. Era fiorentino. Di questo era certa. Gliel’aveva detto Marinella, una delle due maestre per le quali lavorava la zia, quando le aveva regalato la stampa come capoletto, il primo Natale in quel paese. Continua a leggere