…è solo poesia- Antologia Autori Vari


Essenziale ma elegante la copertina dell’Antologia del premio “…è solo poesia” della GDS Edizioni. Raccoglie le opere selezionate in due volumi, uno di poesia e l’altro di narrativa. Quest’ultimo include il mio racconto “E ci siamo conquistati il Paradiso” e   “Pomeriggio inaspettato” della mia amica e lettrice affezionata di questo blog Stefania Mereu.

A parte il titolo un po’ roboante, lo ammetto, mi piacerebbe il mio racconto si sviluppasse in un romanzo sulla storia d’amore tra  Susana Walton e il prestigioso musicista inglese William Turner Walton.

Era di nuovo Natale


Fuori dalla finestrella della cella la neve fioccava. Il cielo era stranamente terso ora che si stava sbarazzando delle nubi. In lontananza le cime erano di nuovo innevate e i campi si distinguevano appena sotto un biancore che ammantava tutto, mescolando cielo e terra. Lo scenario non era granché diverso da quello del suo paese. Un’eco di cornamuse si avvicinava in un’atmosfera di sospensione. Oltre la grata,però, Mirada non scorse nessuno. Fra le comunità cattoliche del suo popolo, si conservavano le stesse usanze, con la stessa identica suggestività. Quasi lo sentiva l’odore penetrante delle spezie, dello zenzero, della cannella e dei chiodi di garofano che donavano un aroma caratteristico alla dolcezza delle mandorle e dei fichi. I dolci di nonna Aminah erano prelibati e allietavano le tavole di tutte le case del paese, sembrava che solo lei serbasse il segreto di ricette millenarie custodite chissà per quale mandato. Nonna Aminah, un trionfo di dolcezza e robustezza, un arcano della femminilità vittoriosa, la sua pena del contrappasso. Di rimando, percepiva  l’immagine del proprio avvilimento fisico e morale.

L’odore delle spezie si fece persistente e vicino, come se dall’altra parte sua nonna stesse sfornando dolcetti friabili e gustosi che si scioglievano nella bocca come fiocchi di neve. Era di nuovo Natale, la gente tornava ad augurarsi serenità e bellezza, a fingere di dimenticare la vergogna di brutture e violenze, arrotondava labbra avide al sorriso, stendeva la mano destra in segno d’amicizia e amore. Di questo era capace l’uomo, quello che da sempre immolava e torturava l’innocente, salvo poi fingere di pentirsi e costruirsi nuove identità. Tempo di riflessioni, spesso amare, di bilanci e di nostalgia, più di rado tempo per la vergogna, quella era sempre degli altri.

“Sorella Benedetta, sono arrivate le bambine. L’aspettano nel parlatorio” la informò una voce giovane appena sussurrata bussando alla porta.

“Grazie, sorella. Dica che arrivo subito.”

Si diresse vero l’armadio di castagno scuro che troneggiava su di un lato della minuscola cella da chissà quanti secoli e che chissà quali terribili segreti aveva custodito prima del suo, e tirò fuori i vestitini di velluto, uno blu e uno marrone, che aveva preparato per Emma e Paoletta. Sarebbe stata una sorpresa e l’avrebbe resa ancora più gradita con i dolci che suora Gina stava alacremente preparando da giorni. Avvolse i due vestitini in carta regalo, avendo cura che non rimanessero false pieghe impresse nella stoffa tanto morbida quanto delicata, e completò con due belle coccarde in tinta per non sbagliarsi: la blu per Emma e la marrone con spicchi dorati per Paoletta.

Uscendo richiuse la porta con gentilezza, era sacrilegio infrangere il silenzio in convento, non solo per regola benedettina ma per una sua ferrea volontà. Il silenzio era sempre stato l’antidoto al peccato che non riusciva a rappresentarsi meglio alla mente che con l’idea del frastuono e del caos. Il silenzio era bellezza e perfezione e raggiungerlo non era così facile come pensavano i più. Povere piccole, anche loro un altro Natale senza il papà!

Man mano che si affrettava in cucina attraversando con passo leggero e capo chino e pensieroso i corridoi in penombra, l’aria si riempiva della dolce fragranza delle numerose infornate che avevano impegnato suora Gina e le consorelle aiutanti tutto il mese di dicembre. Le giunse un cicaleccio appena percettibile, risatine timide accennate, un frusciare di vesti. C’era aria di festa in cucina e la vista dei dolci cotti disposti su vassoi d’argento coperti di eteree trine ad orlare il candido lino e di quelli ancora da passare nel forno che attendevano in bell’ordine sui tavolieri di legno le comunicò un sentimento inaspettato di gioia e convivialità, smarrito nei meandri della memoria. L’odore le penetrò l’animo, le accese ricordi di bambina, la flagellò coi momenti impressi a marchio di fuoco e nella carne dell’umana perversione. Non riusciva ad essere felice un solo attimo senza oscurarsi immediatamente per quell’ombra che le gravava addosso, che la permeava, per l’odio che non si acchetava ancora, nemmeno nel silenzio e nella preghiera. Le campane che suonavano pigre i dodici rintocchi del mezzogiorno, la distolsero per un momento dall’ossessione: le bambine non potevano aspettare ancora. L’attesa snerva e indebolisce, lei lo sapeva bene. Lo aveva appreso nell’altra vita, quella per la quale doveva pagare ed espiare ora.

“Sorella Benedetta,” la scosse gentilmente per un braccio Ave, la novizia brasiliana, porgendole i due vassoi colmi di dolcetti natalizi “ pensa che possano bastare per le due piccoline?”

“Sì, certo. Va bene così. Saranno felici, almeno per un giorno, loro e la loro mamma. Graziella si merita  un po’ di serenità anche lei, la vita non è solo lutto e le bambine hanno bisogno del calore del suo sorriso per crescere nell’incanto del Creato e fugare le ombre che rattristano la Vita.”

Si segnarono tutte il capo frettolosamente, a suggellare le parole di suor Benedetta che nell’altra vita s’era chiamata Mirada ed era stata derisoriamente soprannominata la modella albanese.

 

Il mare d’Irlanda: il mio racconto per la Festa di fine estate nel blog di Nicla Morletti


IL MARE D’IRLANDA
di Lucia Sallustio

“Come sarà il mare d’Irlanda?”- si era chiesta più volte prima di partire. E ora era lì a guardarlo e si chiedeva che cosa si nascondesse dietro quella patina grigia cangiante dai toni più scuri del grigio plumbeo, impenetrabile, a quelli più chiari del celeste pallido.
Strano a dirsi, ma il mare non è sempre uguale, o per lo meno, quello non era uguale al mare di casa sua. Il mare d’Irlanda non parlava dritto al cuore, aveva l’impressione che i suoi sensi lo filtrassero con cautela prima che le giungessero emozioni.
“Mi fa paura, mi fa pensare, non mi fa sognare come il mio Mediterraneo”.
Rossella era la tipica donna mediterranea. Un aspetto florido e un carattere esuberante, solare. Tanto comunicativa quanto improvvisamente taciturna e solitaria. Ecco perché non sapeva illudersi di questo mare nordico che aveva solo invogliato altri a fuggire.
Sotto una pioggia scrosciante, quasi mummificata nel suo giaccone, irrigidita anche nell’animo, non riusciva più a guardarlo, anzi ora ne provava fastidio.
“Un mare così burbero, così volubile non incoraggia pensieri d’amore ma solo cupe riflessioni di vita o di morte.
“Se solo guardassi il mio mare, quello dalle belle sfumature dell’azzurro, che scintilla al sole come le argentate filande di Natale, frastornato dalle grida dei bagnanti e dal chiacchiericcio di chi prende pigramente la tintarella sulla spiaggia, mi sentirei inondare di gioia, vorticare nel sogno. Questo mare mi rende malinconica, mi riconduce alla sensazione di irrequietezza che pensavo di lasciarmi dietro”.
Anche dal suo mare si era allontanata, non perché non lo amasse o non amasse la terra che esso lambiva e fecondava, ma perché voleva conoscere il mondo, farsi forte del confronto con gli altri, liberarsi dei pregiudizi che nascono entro i confini che l’uomo si è dato per la paura di cambiare. Lei, invece, proprio quel cambiamento si aspettava viaggiando.
Vitale, gioviale, generosa con gli altri, non era mai stata il tipo che amava starsene piantata nel suo luogo d’origine. Poi, dopo ogni assenza, ritornava carica di ricordi, di idee, di novità, gravida di pensieri dolci e affettuosi per tutti. Gli amici l’accoglievano sempre con curiosità, era lei che riuniva gente intorno a sé, che dava il la a serate piacevoli e conviviali rallegrate da discorsi intrecciati e smorzati che si rincorrevano tra una chicca e l’altra per non concludersi mai. Quelle conversazioni fluivano come i giorni, pensava, ognuno di essi sconfinava nell’altro e si aveva l’impressione che non si concludesse mai niente.
“Domani a Dublino farò compere. Appena arrivo voglio invitare tutti a una serata irlandese.”
Seduta sul parapetto di casa, di fronte al mare, ora che era finito di piovere e apparivano briciole di sole a scaldarla, Rossella lo guardava fisso. Era aperta la sfida.
Più volte aveva pensato che quel mare non avesse odori. Non odorava di alghe come quello scoglioso della sua terra. Forse per questo non riusciva a farla sognare.
Il giorno prima si era incantata a fare un giochetto che faceva da bambina. Lo stesso che aveva fatto con Angelo a Galway. Guardava in lontananza fisso in un punto finché aveva l’impressione che arrivassero i Vichinghi nelle loro agili e strane imbarcazioni, con i ridicoli elmi biforcuti e i baffi rossastri come quelli di Asterix. Che strano! Dalla muraglia della città vecchia del suo paese, affacciata sul porto, da bambina aveva avuto visioni simili. Allora, erano i Turchi ad arrivare e le solerti massaie del posto li accoglievano con tinozze di olio bollente per annientarli. Era veramente successo, glielo aveva raccontato il nonno quando facevano la passeggiata al borgo la domenica sera.

30R Bavaglio: il tema di settembre di Trentarighe della Fernandel


R COME RUMENA

Arlind, amore. Era stata l’ultima volta che l’aveva chiamato così. Immagini confuse le scorrevano davanti agli occhi e suoni, parole, discorsi smozzicati. L’uomo l’aveva trascinata nel camion, scaraventandola sul lettino nell’abitacolo dietro le merci. L’aveva immobilizzata, mentre lei urlava e pregava che non facessero del male, a lui. Poi l’odore di cloroformio, saliva dalla bocca imbavagliata, e le voci sempre più alte e concitate. Parlavano di soldi, litigavano. Parlavano di lei come fosse bestia da macello, carne fresca venduta a peso. Venduta. Arlind l’aveva venduta al camionista. Altro che amore. Fu rabbia e odio e desiderio di vendetta. L’avrebbe ammazzato, avrebbe vissuto per questo.

Era rimasta svenuta per chissà quanto tempo, aveva il formicolio alle gambe e l’anca anchilosata dalla posizione obbligata. La sete era forte e la nausea si mescolava al dolore per le ferite nella carne sfregata dalla corda. Dondolava il camion, ora. Dondolava come su una superficie d’acqua, su un tappeto di onde. Il dolore al fianco era lancinante, acuito dalla consapevolezza che non era un incubo e dalla nausea del tradimento. Venduta, altro che contratto da modella sulle passerelle italiane! Sollevò il capo, per quanto le riusciva di farlo. Un braccialetto di gomma le cingeva il polso destro: 30R, lesse a malapena. Che voleva dire? R stava certamente per la sua nazionalità, Rumena, e 30? Le avevano dato un numero, proprio come alle bestie? Non riuscì a trattenere il conato. Vomitò. Il bavaglio impedì la fuorisciuta del liquido pastoso misto a bile. Aveva la bocca di vomito, la fascia imbevuta di acido le irritava il viso. Voleva scalciare, gridare, farsi aiutare. Ma non l’avrebbe potuta sentire nessuno, nemmeno Dio.

di Lucia Sallustio

Racconto menzionato da Michele Governatori con il seguente commento:Il bavaglio in senso fisico, e drammatico, a guardar bene c’è però in R come rumena di Lucia Sallustio“. Non é il racconto vincitore, ma se non altro tono e sviluppo del tema erano centrati.  Trentarighe continua per l’edizione di novembre con il nuovo tema: Automa. Ci penserò su e vedremo cosa ne verrà fuori.

Concorso Emozioni 2010: la mia proposta di lettura


…Joe non amava molto parlare di donne e di sesso. Era sposato. A lui bastava sua moglie, se solo l’avesse avuta al suo fianco. La sera tirava fuori dal taschino la foto di Teresa e la baciava di nascosto, per paura di essere deriso dai compagni per quell’atto da femminuccia. Dalla foto gli occhi sottili e allungati di sua moglie sorridevano timidi. Era una bella ragazza di campagna di quelle solide, con i fianchi generosi che rassicurano gli uomini. E, infatti, non ci avevano messo molto ad allargare la famiglia. Dopo il matrimonio aveva avuto due sole settimane insieme a lei. Ancora aveva il gusto in bocca di quelle notti timide in cui, tutti e due, restavano nel silenzio, al buio, sotto la
trapunta rosso vermiglio. Erano due giovani timorati di Dio che si vergognavano ad abbandonarsi l’uno nelle braccia dell’altra. Ma si erano scambiati sguardi di tenerezza e si erano tenuti per mano, quel poco tempo che se n’erano stati da soli, nella casa sovraffollata dei suoceri.
Prima di partire si era voluto imprimere bene nella mente il colore dei suoi occhi, della sua pelle, dei capelli neri e setosi che le aveva baciato e accarezzato, man mano con più spudoratezza, quando i giorni che restavano prima della partenza avevano incominciato a scorrere come i grani del rosario tra le mani. A sera Teresa pregava in cucina con le altre donne e dalla camera da letto dove lui la aspettava impaziente giungevano voci sonnecchianti e lamentose che quasi non credevano più in quelle implorazioni consunte come stracci e non sempre produttive di felicità. Peppino, steso nel letto con le braccia sotto il capo, come se stesse prendendo il sole nei campi, lo sguardo al soffitto, aspettava e trepidava e s’infiammava di desiderio. Poi arrivava lei, richiudeva la porta con delicatezza, gli si stendeva al fianco e lui si vergognava di quel suo desiderio, per paura che dopo le preghiere le sembrasse impuro. Se l’era portato dentro con sé in America. Lo aveva perseguitato sul bastimento, nei giorni di depressione dell’arrivo, nelle notti rumorose della baracca con Tony, quando uscivano ed entravano lavoratori sudici di miniera, fetidi di mare e di grasso dei motori, sguaiati e volgari. Un desiderio che gli opprimeva il petto, che gli dava scontento e che riusciva a placare solo nelle uscite a mare, che nella quiete lanciava bagliori argentei e nella burrasca appariva grandioso come un Dio…

da “La Fidanzata di Joe” romanzo breve di Lucia Sallustio– II premio Sez. Romanzo e narrativa inedita del Premio naturalistico- ambientale “La Majella” di Abbateggio edizione 2009

21 MARZO: GIORNATA DELLA POESIA


TRANSUMANZA

Sverno

Dove l’ultimo spicchio di sole

Riscalda il mio vagare lento,

errando

per valli riesumate dal ricordo

dov’ero agnello dal morbido riccio

inconsapevole e felice d’andare.

Ho speso tante estati nella piana,

raggi feroci incendiavano il vello robusto,

incenerivano i ricordi,

ubriacavano gli occhi opachi.

E ora, questa transumanza,

m’offende il cuore, m’incatena.

Devo seguire il gregge,

anche se non è più lo stesso.

Da tempo ho perduto compagni,

li ho visti morire distratti,

anelando al greto mellifluo,

annegando nel ruscello violento,

alcuni sbranati dai lupi.

Li ho visti afferrare da mani rapaci,

li ho riconosciuti dai belati invocanti,

dall’odore acre dell’ arrosto.

Altri ho perduto di vista, ombre vaghe.

Poi si sono aggregati i nuovi di cuore,

sgambettavano ignari, felici

nell’aria pungente, prima del fuoco.

Hanno brucato anche loro l’erba avvelenata,

trovato ristoro nella fonte indigesta,

molti sono scomparsi nella grande vallata.

Segno il passo, imperterrito,

tra un vagito e un allegro belato,

facendo il pieno di soli e di lune,

col capo chino e il passo allineato.

Non andrò,

questa volta a svernare,

rimarrò qui, solo, ad aspettare

nuovi cuori a farmi compagnia,

freschi ruscelli a dissetare la mia sete antica,

tiepidi raggi a riscaldare

questa carcassa stanca d’andare.

di Lucia Sallustio

Poesia inserita nell’antolgia del Premio “Cose a Parole” II edizione -PerroneLAB

Concorso Letterario Nazionale “Nicola Zingarelli”


Che bella sorpresa ieri pomeriggio, quasi un regalo nella giornata di Santa Lucia. Tra le tantissime e affettuose telefonate, mail, messaggi sul cellulare, mi é arrivata anche questa mail urgente:
Gentilissima Lucia Sallustio,
la contattiamo per comunicarle che la Giuria ha deciso di assegnarle il 2° premio per la sezione “Racconti inediti” del Concorso Letterario Nazionale “Nicola Zingarelli” – Edizione 2009.
Facendole le nostre congratulazioni per il titolo assegnatole,
la salutiamo distintamente.
La Segreteria

La premiazione avrà luogo sabato sera, 19 dicembre, nel teatro Mercadante di Cerignola. L’opera da me presentata é un racconto dal titolo “Na’im e Maria”.

L’oceano capovolto


Poi avevano guardato insieme la volta di stelle, ne avevano vista una cadere, o era stata solo l’impressione, e Joe le aveva detto che al suo paese, il dieci di agosto che è la notte di San Lorenzo, se si esprime un desiderio si avvera, ma bisognava chiudere gli occhi e restarsene zitti per un po’ ad ascoltare l’eco della notte.

“Si fa anche da noi” le aveva risposto lei, cercando di usare frasi semplici e di pronunciarle con lentezza perché Joe la capisse.

Se n’erano stati nel buio rischiarato dalle stelle, la sua mano nella mano forte di Joe, senza dirsi niente. Sperando che si avverassero i sogni mormorati alla stella cadente…

da “La fidanzata di Joe” di Lucia Sallustio- Romanzo breve inedito premiato al 2° posto al premio naturalistico La Majella 2009 e al 3° posto al premio “Viareggio-Carnevale” 2009